In questo articolo Federico Ielli affronta l'importante problema della tutela del fenotipo italiano del luccio in un ottica conservazionistica, in riferimento ai recenti studi della Dott.ssa Livia Lucentini ricercatrice dell'Università di Perugia. La necessità di individuare alcune linee guida per la conservazione delle popolazioni di luccio italiche appare oggi fondamentale anche se non esente da difficoltà.
Introduzione
Il luccio (Esox lucius L.,) è specie ad ampia distribuzione europea, asiatica e Nord americana. In Italia la specie è nativa nelle regioni settentrionali e centrali, fino al Lazio e all’Abruzzo, mentre è stata di recente introdotta nel meridione e nelle isole maggiori. Le popolazioni italiche si distinguono da quelle dell’Europa dell’Est e del Nord per il fatto che la livrea è piuttosto differente: essenzialmente caratterizzata dalla presenza di bande longitudinali verdastre, più o meno spesse e continue, o da marmorizzature su sfondo chiaro, nei lucci italiani, mentre nei lucci centro-Est e Nord europei sono presenti macchie circolari o ellittiche (livrea a spot diffusi) di colore giallo o crema su sfondo verdastro. E’ stata parimenti segnalata la presenza di lucci con fenotipi differenti (a barre verticali e diagonali) in alcuni ecosistemi dell’Italia centrale. Ora, tutto ciò ingenera molta confusione, non solo a livello tassonomico, ma anche gestionale, in quanto spesso i ripopolamenti con questa specie vengono effettuati con materiale d’importazione dall’Europa dell’Est, di più facile approvvigionamento, con tutte le problematiche che ne derivano a scapito delle popolazioni originali, tra le quali competizione ed ibridazione.
Studi recenti
Studi recenti hanno confermato quanto in parte già noto: cioè che le popolazioni italiche di luccio, in costante decremento su tutto il territorio nazionale a causa delle note problematiche (alterazione dell’habitat riproduttivo, inquinamento delle acque, iperprelievo di pesca, misure protettive aleatorie, ecc.,), sono profondamente differenti da quelle di oltre confine, sia a livello morfologico che genetico, oltre che comportamentale, al punto da ipotizzare una differenziazione specifica tra i lucci italiani e quelli centro-Est europei. In tal caso la genetica pare essere in sintonia con le analisi morfologiche. Nel dettaglio, recenti studi (Conservazione genetica delle popolazioni di luccio nella Regione Veneto) della Dott.ssa Livia Lucentini dell’Università di Perugia, presentati in occasione di un Infoday di Veneto Agricoltura (Produrre e preservare le specie ittiche di acqua dolce), hanno evidenziato una sostanziale corrispondenza tra fenotipi analizzati e genoma corrispondente. In particolare sono state analizzate le livree di poco meno di 1.300 lucci provenienti da differenti siti italiani ed europei, compresi quelli di alcuni allevamenti italiani. Su un campione di 350 esemplari sono quindi state effettuate analisi genetiche, sia mitocondriali che nucleari; queste ultime sono state confrontate con quelle relative a lucci provenienti da un altro continente (Canada). Tra tutti gli esemplari esaminati sono state catalogate 5 livree: a barre diagonali; a barre verticali; a bande longitudinali; livrea marmorizzata; livrea a spot circolari. Dalla comparazione delle sequenze del DNA (mitocondriale e nucleare), si è osservato che i lucci esaminati segregano in due grandi gruppi, diversificati sia geneticamente che a livello di livrea (fenotipo). Nel primo gruppo, compatibile geneticamente con le popolazioni canadesi, segregano tutti i lucci del Nord ed Est Europa ed alcuni italiani (ad esempio quelli del Lago del Corlo, del Lago di Fimon e di alcuni allevamenti). La livrea di riferimento è quella a spot circolari. Nel secondo gruppo segregano tutti i restanti lucci italiani analizzati, compresi quelli di alcune province venete e del Lago Trasimeno. Le livree di riferimento sono le restanti quattro. Questo cosa significa in soldoni? Che le popolazioni attuali, presenti nel territorio italiano, sono ormai costituite per buona parte da lucci alloctoni, caratterizzati da una livrea a spot circolari, mentre le popolazioni native sono in fase di costante decremento. In aggiunta, il rinvenimento in natura di individui con caratteristiche intermedie (ibridi), farebbe presupporre la possibilità di introgressione genetica tra le due linee (o specie?) di luccio, forse solo parzialmente limitata da barriere riproduttive, probabilmente dovute al differente periodo di frega. Tuttavia queste, per ora, sono solo ipotesi.
Conclusioni
Di fatto resta l’estrema difficoltà di approccio nei confronti delle popolazioni italiane di esocidi. Infatti il luccio, nella Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce indigeni in Italia, viene considerata come specie vulnerabile. Tuttavia una domanda è di rigore: “Quale luccio proteggiamo o dobbiamo proteggere oggi?” La risposta pare ovvia, quasi scontata. La specie o linea genetica da proteggere è quella nativa italica. Ma allora che fare e come gestire tutti gli altri lucci presenti nelle acque interne, quelli caratterizzati dalla più volte citata livrea a macchie o spot circolari, ormai in maggioranza? Senza contare il fatto che, a livello gestionale, sono fiorenti pratiche applicative come l’acquisto da parte degli Enti pubblici di partite di lucci da importatori che, a loro volta, acquistano oltre confine. La linea da seguire, certamente non è esente da problematiche, anche perché resta ancora molto da approfondire in campo genetico e gli approcci gestionali alle popolazioni dovrebbero, per essere attendibili, basarsi su analisi multidisciplinari: filogenetiche, biologiche, eco-etologiche e genetiche. L’attuale linea conservativa delle popolazioni di luccio italiche dovrebbe pertanto seguire alcune linee guida:
1) Certificazione e localizzazione delle popolazioni presenti sul territorio nazionale;
2) Salvaguardia e recupero dell’Habitat, in particolare di quello riproduttivo;
3) Misure gestionali adeguate, sia di tutela che di ripopolamento.
Chiaramente l’aspetto preminente pare essere quello della protezione e della gestione delle popolazioni autoctone e dell’habitat riproduttivo, laddove sia dimostrata la loro presenza, seguito dalla selezione morfologica e genetica dei riproduttori di luccio da utilizzare per la riproduzione artificiale. Misure gestionali meno severe potrebbero essere adottate nei confronti delle popolazioni costituite da soggetti non indigeni, la cui immissione dovrebbe interessare soprattutto, se non esclusivamente, bacini di pesca privati non in contatto con acque pubbliche. Tuttavia vi sono realtà territoriali (è il caso di alcune acque del ferrarese) nelle quali il luccio è stato reintrodotto con successo (ceppo Centro-Est europeo), convivendo in simpatria con una comunità ittica in prevalenza alloctona, esercitando il suo ruolo ecologico nell’ambito di un ambiente parzialmente degradato dove i lucci “nostrani” avrebbero difficoltà a sopravvivere.